Rassegna articoli

Selezione di articoli pubblicati sulla rivista Agenti & Rappresentanti di Commercio.

Corrispettivo del patto di non concorrenza post-contrattuale

di Alberto Trapani


Articolo tratto da Agenti & Rappresentanti di Commercio n. 3/2020

Premessa

Con la sentenza n. 209 del 19 maggio 2020 il Tribunale di Napoli - Sezione Lavoro si è pronunciato sul tema della determinazione del corrispettivo del patto di non concorrenza post-contrattuale.

La sentenza in commento è interessante, in quanto ha stabilito che è legittimo prevedere in un contratto di agenzia una clausola contrattuale secondo cui, a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza ex art. 1751 bis c.c., spetta all’agente un importo da corrispondersi in un’unica soluzione al momento della cessazione del rapporto e da determinarsi in misura pari ad una percentuale delle provvigioni a lui pagate in costanza di rapporto.

La sentenza del Tribunale di Napoli - Sezione Lavoro n. 209, 19 maggio 2020

Lo svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 6 settembre 2017 l’agente Tizio conveniva in giudizio la preponente Alfa, contestando il recesso ordinario con concessione del preavviso da essa effettuato, chiedendo tra l’altro il pagamento di euro 15.000,00, a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza post-contrattuale incluso nel contratto di agenzia.

Più precisamente, il ricorrente Tizio non negava di aver ricevuto dalla società Alfa quanto pattuito nel contratto a titolo di corrispettivo per il suddetto patto di non concorrenza, ma si lamentava dell’incongruità dell’importo percepito, essendo stato determinato nel “2% delle commissioni fatturate, con esclusione dei rappel”, per cui chiedeva al Giudice di valutare la congruità del corrispettivo già ricevuto, stante la nullità del patto percentuale tra le parti comminata dall’art. 1751 bis c.c.

Si costituiva in giudizio la preponente contestando la domanda e chiedendone il rigetto.

Il Giudice, ritenuta superflua la prova orale richiesta dal ricorrente, così decideva.

La decisione

Innanzitutto il Giudice osservava che nel contratto di agenzia stipulato tra le parti era previsto un patto di non concorrenza post-contrattuale avente il seguente contenuto:

“Oggetto: “non contattare, direttamente o indirettamente, … non stornare… alcun cliente o dipendente o collaboratore della società o interferire in alcun modo nei rapporti tra la società ed i clienti o i dipendenti o collaboratori della stessa e di quindi… non esercitare alcuna e qualsiasi attività di produzione e in concorrenza con quella esercitata dall’agente… non …esercitare detta attività concorrente né in proprio, né per interposta persona, né quale socio di società esercenti la predetta attività, né quale lavoratore subordinato di tali imprese”. Durata: due anni dalla data di cessazione del rapporto. Zona: tutto il territorio della Repubblica italiana. Corrispettivo: 2% delle commissioni fatturate, con esclusione dei rappel, importo da corrispondere dopo la cessazione del rapporto, e comunque dopo che l’agente abbia terminato il passaggio di consegne. Penale: 50% del corrispettivo pattuito, oltre alla restituzione di quanto già pagato a tale titolo, ferma la facoltà della società Alfa di chiedere il risarcimento del maggior danno. Facoltà di recesso: è prevista la facoltà della società Alfa, a suo insindacabile giudizio, di recedere dal patto di non concorrenza fino al momento di cessazione del rapporto di agenzia, con conseguente perdita del diritto dell’agente al pagamento del corrispettivo pattuito”.

Inoltre il Giudice osservava che, ai sensi dell’art. 1751 bis c.c. “la determinazione della indennità in base ai parametri di cui al precedente periodo è affidata alla contrattazione tra le parti tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria. In difetto di accordo l’indennità è determinata dal giudice in via equitativa anche con riferimento:

1) alla media dei corrispettivi riscossi dall’agente in pendenza di contratto ed alla loro incidenza sul volume d’affari complessivo nello stesso periodo;

2) alle cause di cessazione del contratto di agenzia;

3) all’ampiezza della zona assegnata all’agente;

4) all’esistenza o meno del vincolo di esclusiva per un solo preponente”.

Riguardo la doglianza del ricorrente in merito all’incongruità dell’importo ricevuto dalla resistente a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza post-contrattuale, il giudicante rilevava che l’eventuale incongruità dell’importo di tale patto avrebbe potuto comportare l’integrale nullità del patto stesso.

Infatti, per giurisprudenza consolidata di legittimità e di merito, se il patto di non concorrenza prevede un corrispettivo simbolico o, comunque, incongruo, sia sotto il profilo del suo ammontare, che delle modalità di pagamento, tale patto è radicalmente nullo.

Tuttavia, il Giudice riteneva che nel caso di specie la somma già corrisposta dalla società Alfa non era incongrua, tenendo conto della durata del rapporto e del patto, nonché della complessiva attività svolta da Tizio.

Il ricorrente aveva, poi, sostenuto la nullità del corrispettivo, essendo stato determinato in misura percentuale rispetto alle provvigioni percepite in costanza di rapporto.

Il Giudice adito riteneva infondata anche tale tesi, adducendo in proposito la seguente motivazione.

Sebbene sia vero che, ai sensi dell’art. 1751 bis c.c., il corrispettivo del patto di non concorrenza post-contrattuale non può essere pagato in costanza di rapporto e non può avere natura di maggiorazione provvigionale, ciò non toglie che il corrispettivo possa essere pagato in unica soluzione, al momento della cessazione del rapporto, venendo quantificato in rapporto alle provvigioni corrisposte durante il rapporto.

Infatti, l’art. 1751-bis, c.c. vieta che le parti determinino il corrispettivo del patto di non concorrenza imputando a tale titolo una parte delle provvigioni liquidate in costanza di rapporto.

Tuttavia, la ratio del suddetto divieto è quella di evitare che il corrispettivo sia simulato (costituendo una mera imputazione formale di una quota parte delle provvigioni) e che l’agente, percependo il relativo importo insieme alle provvigioni, finisca per spenderle e trovarsi senza liquidità al momento della cessazione del rapporto.

L’interpretazione letterale e teleologica dell’art. 1751 bis c.c. consente, quindi, la previsione di un corrispettivo pagato (come nel caso di specie) al momento della cessazione del rapporto, la cui quantificazione utilizza come base di calcolo le provvigioni corrisposte ab initio, senza per questo poter essere qualificata essa stessa come una provvigione.

Per tali motivi il ricorso di Tizio veniva rigettato.

Considerazioni

Ai fini della determinazione del corrispettivo del patto di non concorrenza post-contrattuale la sentenza in commento è interessante, in quanto ha stabilito che:

  • è legittimo inserire in un contratto di agenzia una clausola contrattuale in virtù della quale, a titolo di corrispettivo per tale patto, spetta all’agente un importo da corrispondersi in un’unica soluzione al momento della cessazione del rapporto e da determinarsi in misura pari ad una percentuale delle provvigioni liquidate in costanza rapporto;

  • è illegittimo, invece, imputare una quota delle provvigioni corrisposte all’agente nel corso del rapporto, a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza post-contrattuale, poiché tale modalità di determinazione del corrispettivo in parola è in contrasto con l’art. 1751-bis c.c., secondo cui la relativa indennità non deve avere natura provvigionale e deve essere corrisposta in occasione della cessazione del rapporto.

In conclusione, in base alla pronuncia in esame, è conforme all’art. 1751 bis c.c. determinare contrattualmente l’indennità prevista da tale norma quantificandola in funzione delle provvigioni corrisposte durante il rapporto, purché tale indennità sia corrisposta in un’unica soluzione al momento della cessazione del rapporto.

Agente di commercio – Attività di lavoro subordinato – Incompatibile

Quesiti


Articolo tratto da Agenti & Rappresentanti di Commercio n. 3/2019

Quesito: Stiamo valutando l’inserimento di un nuovo soggetto nel nostro organico aziendale. Si tratta di un agente di commercio, con il quale però vorremmo instaurare, anziché un rapporto d’agenzia, un rapporto di lavoro subordinato. È possibile?

Risposta: L’art. 5, comma 3, Legge n. 204/1985, disciplinante l’attività di agente e rappresentante di commercio, dispone che “l’iscrizione nel ruolo è incompatibile con l’attività svolta in qualità di dipendente da persone, associazioni o enti, privati o pubblici”.

Sebbene il ruolo, come previsto dalla Legge n. 204/1985, sia stato soppresso dal successivo art. 74, D.Lgs. n. 59/2010, la stessa norma ha stabilito che ora l’attività di agente di commercio è soggetta a dichiarazione “di inizio di attività da presentare alla Camera di Commercio, industria, artigianato e agricoltura per il tramite dello sportello unico del comune competente per territorio (…) corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti” e precisando altresì che “ad ogni effetto di legge, i richiami al ruolo contenuti nella Legge 3 maggio 1985, n. 204, si intendono riferiti alle iscrizioni previste dal presente articolo nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA)”.

Ai requisiti di cui all’art. 5, Legge n. 204/1985, sono state apportate alcune modifiche, ma rimangono le incompatibilità, fra cui appunto quella della contemporanea occupazione in qualità di lavoratore subordinato.

Le Camere di commercio (ad esempio quelle della Lombardia, della Toscana ed altre parti d’Italia, come Cuneo, Piacenza, Torino, ecc.) riprendeno le disposizioni di legge, stabilendo che “l’esercizio dell’attività di agenzia o rappresentanza svolta in forma di impresa è incompatibile con le attività svolte in qualità di dipendente da persone, associazioni o enti privati e pubblici (ad eccezione del dipendente pubblico in regime di tempo parziale non superiore al 50% delle ore totali previste dal contratto)”. Ritengo che nel termine generico “enti privati” rientrino anche le società, in ogni modo costituite.

Non solo, l’Ufficio del Registro verifica periodicamente, ogni 5 anni, la permanenza dei requisiti che consentono all’impresa lo svolgimento dell’attività, tramite l’Archivio nazionale del Registro delle imprese, INPS e l’Agenzia delle Entrate, con la conseguenza dell’inibizione all’esercizio dell’attività di agente o rappresentante di commercio anche nel caso di rilevata e/o sopraggiunta incompatibilità.

L’inibizione “comporta la cancellazione del soggetto e/o dell’impresa dalla qualifica di agente o rappresentante di commercio oltre che la cessazione d’ufficio dell’attività esercitata dal registro delle imprese/r.e.a. Il provvedimento di cancellazione è annotato ed iscritto per estratto nel r.e.a.”.

Alla luce di quanto sopra, pertanto:

  • sussiste ab origine un’incompatibilità fra l’attività di agente e il rapporto di lavoro subordinato;

  • l’agente di commercio che svolga anche attività di lavoro subordinato potrebbe essere inibito all’esercizio dell’attività di agente;

  • non si ravvedono particolari conseguenze per il datore di lavoro che instauri un rapporto di lavoro subordinato con un agente di commercio, in particolar modo se tale rapporto è stato stipulato in buona fede, ignorando cioè che il dipendente fosse anche agente di commercio;

  • sta all’agente stesso eccepire che non può aderire alla proposta di stipulare un rapporto di lavoro subordinato;

  • con tale soggetto, qualora voglia mantenere la qualifica di agente di commercio, non rimane che stipulare un contratto di agenzia.

Il momento della trattenuta del contributo Enasarco a carico dell’agente

di Piero Gualtierotti


Articolo tratto da Agenti & Rappresentanti di Commercio n. 1/2019

La più recente sentenza in argomento della Cassazione (Sez. Lav., 13 febbraio 2019, n. 4226, in questo fascicolo pag. 34) ci offre lo spunto per ritornare sulla questione relativa al momento nel quale il preponente deve trattenere la quota di contributi Enasarco a carico dell’agente.

L’art. 7 della L. 2 febbraio 1973, n. 12 dispone: “Il preponente è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico dell’agente e del rappresentante di commercio. Il diritto a trattenere la parte dei contributi dell’agente e del rappresentante di commercio deve essere esercitato all’atto del pagamento delle somme cui si riferiscono i contributi”. Tale principio è stato ribadito nell’art. 8, quarto comma, del Regolamento dell’Enasarco: “L’obbligo di versamento dei contributi di cui agli artt. 4 e 6 è a totale carico del preponente, il quale è esclusivo responsabile del pagamento anche per la parte a carico dell’agente. La parte dei contributi a carico dell’agente è trattenuta all’atto del pagamento delle somme a cui si riferiscono i contributi stessi”.

In proposito va anche tenuto presente che, per quanto dispone l’art. 6 della L. n. 12/1973, il contributo “si calcola su tutte le somme dovute a qualsiasi titolo all’agente o rappresentante di commercio in dipendenza del rapporto di agenzia”. Dal canto suo l’art. 4 del Regolamento ribadisce che il contributo deve “calcolarsi su tutte le somme dovute all’agente a qualsiasi titolo in dipendenza del rapporto di agenzia anche se non ancora liquidate, compresi acconti e premi”.

Il principio fondamentale, dunque, è quello dell’insorgenza dell’obbligo del versamento dei contributi con riguardo alle somme dovute all’agente anche se non ancora corrisposte.

L’Enasarco, nel prendere posizione sul punto, ha ribadito che l’obbligo sorge nel momento in cui il preponente liquida le provvigioni, vale a dire determina l’importo dovuto all’agente in base al maturato rendendolo esigibile. Precisa ulteriormente: “è questo il momento in cui si determina l’obbligo per la ditta di versare i contributi. Infatti, il momento dell’effettivo pagamento delle provvigioni è ininfluente ai fini della determinazione del periodo di riferimento dei contributi”. Tale momento è stabilito dall’art. 1749 c.c. laddove precisa che “il preponente consegna all’agente un estratto conto delle provvigioni dovute al più tardi l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale sono maturate… Entro il medesimo termine le provvigioni liquidate devono essere effettivamente pagate all’agente”.

Ne deriva che il legislatore ha posto un termine ultimo ben preciso circa il momento di pagamento delle provvigioni. Tale termine può tuttavia essere derogato in melius dalla contrattazione collettiva o dagli accordi individuali prevedendo termini di pagamento più favorevoli per l’agente quali una periodicità mensile, bimestrale, entro il terzo mese, fermo restando il limite inderogabile stabilito dalla norma codicistica oltre il quale il preponente non può andare.

Anche la Direttiva CEE 86/653, dopo avere affermato che il preponente consegna all’agente commerciale un estratto conto delle provvigioni dovute al più tardi l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale sono state acquisite, precisa che non è possibile derogare a tale disposizione a detrimento dell’agente. Dal che si ricava che la deroga è possibile ma esclusivamente a vantaggio dell’a- gente medesimo.

Consegue che è legittimo stabilire termini di conteggio e di pagamento più brevi di quelli previsti dalla legge.

Il preponente, pertanto, deve effettuare la trattenuta nei confronti dell’agente quando provvede al pagamento delle somme a cui si riferiscono i contributi indipendentemente dalla periodicità dello stesso. Essa potrà essere effettuata anche mensilmente mentre l’obbligo di versamento all’Enasarco rimane trimestrale. In effetti il preponente operando la ritenuta al momento del pagamento non fa altro che esercitare un suo obbligo-diritto previsto dal legislatore.

Ove il preponente, pur pagando l’agente con periodicità mensile, effettuasse la ritenuta alla scadenza trimestrale, potrebbe addirittura vedersi eccepire dall’agente medesimo la insussistenza di tale diritto avendo dovuto effettuarla al momento del pagamento e non successivamente.

Di particolare interesse è il caso della corresponsione di acconti sulla provvigione. Occorre distinguere se gli acconti si riferiscono a provvigioni già maturate ed in relazione alle quali è stato assunto l’obbligo di versamento anticipato rispetto alla legge.

In proposito deve essere tenuto presente che anche l’accordo economico riconosce all’agente il diritto di ricevere anticipi nel corso del trimestre sulle provvigioni maturate.

In presenza di una pattuizione in tal senso è pacifico che si tratta di somme dovute indipendentemente dal fatto che si tratti di acconti o anticipi, previsti peraltro anche dall’art. 4, 1° comma del Regolamento. I contributi infatti sono riferiti a somme dovute, anche se corrisposte anticipatamente rispetto al momento della liquidazione trimestrale.